Gentilissimo Alessandro Gnocchi,
stufa di una Chiesa in cui non mi sento
più da tempo a mio agio, mi sono avvicinata con sempre più interesse
all’ambiente tradizionalista, non so se questo è il termine giusto. Mi
rimane però una perplessità riguardo al concetto di Tradizione e al
relativo utilizzo che alcuni ne fanno. Dico utilizzo perché mi pare che
spesso la tradizione è considerata come un oggetto di proprietà da
impiegare quando conviene ma da mettere da parte se diventa
imbarazzante. Mi perdoni se non mi sono spiegata bene, ma la domanda che
ho in testa è semplice: che cosa è la Tradizione e chi la serve
veramente?
Grazie per l’attenzione
Manuela Schiaffino
.
Cara Manuela,
la sua domanda è semplice solo nella
formulazione. Cercherò quindi di risponderle usando meno possibile
parole mie. San Vincenzo di Lérins, nel V secolo, iniziava il suo Commonitorium citando una sentenza del Deuteronomio: “Interroga tuo padre e te lo racconterà, i tuoi vecchi e te lo diranno”, poi spiegava di aver ricevuto l’insegnamento della dottrina dei santi Padri e quindi spiegava che è veramente cattolico “ciò che è stato creduto dappertutto, sempre e da tutti”. Se vogliamo usare tre concetti, sono universalità, antichità e unanimità.
Questo criterio penso che le sarà utilissimo per giudicare quei tradizionalisti a intermittenza
che tanto giustamente la scandalizzano. Con questa attitudine, dettata
vuoi da scarsa dottrina, vuoi da pavidità, vuoi da fellonia, vuoi da
interesse, vuoi da tutte queste cause insieme o variamente combinate, il
tradizionalista intermittente infrange in un sol colpo
i tre criteri della cattolicità enunciati da San Vincenzo di Lérins e,
quanto meno, denuncia forti problemi con l’integrità della fede.
Pur celebrando la Messa in rito antico e
vestendo talari inappuntabili e colletti romani alti tre dita se è un
sacerdote, pur organizzando meritori convegni e comitati se è un laico, in forza della saltuarietà con cui estrae dal cassetto la Tradizione, questo soggetto, si comporta come quegli eretici che secondo San Gregorio Magno “invitano la Santa Chiesa al mattino della verità, come se essa si trovasse nella notte dell’errore”.
Perché, alla fine, pur imbiancandosi il viso di cipria tradizionale
quando va in società, non fa altro che insegnare una dottrina nuova
affogando la verità nell’errore. E quanto più questo soggetto formalizza
la sua intermittente adesione alla Tradizione, tanto più è dannoso.
Diventa un tipico esempio di adepto del bi-pensiero, di cui Gorge Orwell
parla in 1984.
Ma torniamo a San Vincenzo di Lérins per vedere a cosa porti l’abbandono della Tradizione:
“Le novità concernenti dogmi, cose e
opinioni in contrasto con la tradizione e l’antichità, (…) una volta
accettate, implicano che tutti i fedeli di tutti i tempi, tutti i santi,
i casti, i continenti, le vergini, tutti i chierici, i leviti, i
vescovi, le migliaia di confessori, gli eserciti dei martiri, un così
gran numero di città e di popoli, di isole e di province, di re, di
genti, di regni e di nazioni, in una parola il mondo intero, incorporato
a Cristo capo mediante la fede cattolica, abbia per un così gran numero
di secoli ignorato, errato, bestemmiato, senza sapere ciò che bisognava
credere”.
Attorno al 350, al sorgere dell’apollinarismo, San Gregorio di Nazianzo, scriveva nelle sue Orazioni:
“Se la fede è cominciata solo
trent’anni fa, mentre sono passati quasi quattrocento anni dalla venuta
di Cristo, allora vano è stato il nostro Vangelo per così lungo tempo,
‘vana anche la nostra fede’, inutilmente i martiri hanno dato la loro
testimonianza, inutilmente i grandi e importanti vescovi hanno guidato
il popolo”.
Cara Manuela, se è complesso spiegare che cosa sia la Tradizione, come vede è però semplice dire che cosa non è Tradizione.
Non è Tradizione l’idea malsana di un necessario progresso spirituale e
teologico accettata in tutto o in parte. Questo criterio è sempre stato
ben presente nella Chiesa. Prima ancora di San Gregorio di Nazianzo,
Tertulliano, nel III secolo, nell’opera Sulla prescrizione degli eretici metteva in guardia da tale deriva spiegandone le conseguenze:
“Nel frattempo erroneamente si
evangelizzava, erroneamente si credeva, erroneamente tante migliaia di
migliaia furono battezzati, erroneamente furono eseguite tante opere di
fede, erroneamente furono ordinati tanti sacerdoti, tanti ministeri,
erroneamente, infine, furono coronati tanti martiri”.
La Tradizione, cara Manuela, in definitiva è la nostra casa. È la casa dei nostri padri ed è la casa dei nostri figli.
Non è la casa di quei teologi e di quei pastori che preferiscono
indulgere al proprio genio, alla propria pigrizia o alla propria paura
piuttosto che servire la fede semplice della Chiesa, che preferiscono
seguire nuove dottrine comode e inebrianti invece che servire la Verità.
Nel Commonitorium, San Vincenzo
di Lérins parla della necessità della “comunione” con la Chiesa. E su
questo concetto puntano tanto gli innovatori rivoluzionari quanto i
tradizionalisti a intermittenza. Se lei, cara Manuela, farà notare loro
che si discostano dalla via maestra della Tradizione, le rimprovereranno
subito il grave peccato di “non essere in comunione con la
Chiesa”, “non sentire cum Ecclesia”. Però omettono di spiegare che si
tratta di una Ecclesia che hanno inventato loro stessi a propria
immagine e somiglianza. La “comunione” a cui si riferiscono non
è quella di San Vincenzo di Lérins, è un concetto esclusivamente
orizzontale, che si sviluppa nello spazio, ma non nel tempo. È un luogo
teologico dove ciascuno può scaricare quello che vuole, materiali nuovi
di istantanea invenzione o anche vecchie macerie di riporto. Si
accettano persino singoli elementi tradizionali, purché chi li porta
gradisca che coabitino con elementi assolutamente antitetici. In
omaggio al bi-pensiero, il portatore intermittente di Tradizione deve
sentirsi, e volentieri si sente, in “comunione” con ciò che la nega.
Tutto questo, cara Manuela, è mostruoso,
ma è possibile a patto che si accetti un’idea orizzontale di
“comunione”, che non essendo fondata sulla Verità, si regge grazie al
potere. E tanto più il potere viene esercitato in modo
dispotico, tanto più diventa ab-soluto, tanto più è in grado di
costringere a coesistere elementi contraddittori. Il pontificato di Bergoglio mi pare che ne sia un esempio lampante.
Nella vera Chiesa, invece, il concetto
di “comunione” non è mai stato neppure pensabile senza un presupposto
verticale. Fin dalla riflessione dei Padri è stato evidente che la vera “comunione” ci lega indissolubilmente con coloro che fin dal principio hanno seguito il Signore. Non lo scopro io, cara Manuela, lo dice San Giovanni nel Vangelo:
“Ciò che era fin da principio, ciò
che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi,
ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato,
ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi
l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita
eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che
abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi
siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col
Figlio suo Gesù Cristo”.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
http://www.riscossacristiana.it/fuori-moda-la-posta-di-alessandro-gnocchi-160616/
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