La
 nuova contrapposizione svelata da Bergoglio è quella più radicale e più
 brutale tra un potere ecclesiale iniquo che si manifesta in un 
magistero blasfemo e la resistenza di chi continua a testimoniare i 
diritti di Dio in una Chiesa che se ne fa beffe … il potere iniquo e 
brutale incarnato da Bergoglio non viene turbato … Vuole, desidera, 
brama che chi ha “particolare sensibilità religiosa” possa manifestarla 
dentro i suoi domini, a patto che ne riconosca la signoria assoluta 
senza esercitare una critica vera, limitandosi a un ossequioso dissenso.
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Ogni settimana Alessandro Gnocchi 
risponde alle lettere degli amici lettori. Tutti possono scrivere, 
indirizzando le loro lettere a info@riscossacristiana.it ,
 con oggetto: “la posta di Alessandro Gnocchi”. Chiediamo ai nostri 
amici lettere brevi, su argomenti che naturalmente siano di comune 
interesse. Ogni settimana sarà scelta una lettera per una risposta per 
esteso ed eventualmente si daranno ad altre lettere risposte brevi. Si 
cercherà, nei limiti del possibile, di dare risposte a tutti.
 PD
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Martedì 19 luglio 2016
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È pervenuta in Redazione:
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Gentile dottor Gnocchi,
penso di poter dire di essere un suo 
lettore da sempre, fin dai suoi primi libri su Guareschi, e ho sempre 
seguito con interesse l’approfondimento del suo pensiero, lineare e 
coerente. Ma non le scrivo per dire questo. Le scrivo per dirle quanta 
fatica devo fare per spiegarlo a certi cattolici cosiddetti tradizionali
 che si spaventano davanti alla realtà e accusano di sedevacantismo più o
 meno nascosto chi ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. E
 qui vengo a toccare un tasto che per lei sarà doloroso e quindi se non 
vuole parlarne in pubblico le chiederei almeno una risposta privata. Mi 
riferisco al fatto che  c’è chi sostiene che se fosse vivo Mario Palmaro
 lei oggi non direbbe certe cose e con certi toni. Se sono stato 
indelicato me ne scuso. Se non risponderà, la capirò benissimo, ma un 
po’ ci conto.
Un saluto sincero
Davide Roversi
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in effetti, ci ho messo qualche 
settimana prima di decidermi a risponderle perché la sua lettera tocca 
una corda intima e dolorosa. Non saprei dirle se è indelicata poiché, da
 contadino bergamasco, fatico ad applicare la categoria 
dell’indelicatezza, soprattutto nei miei stessi riguardi. Sono più 
incline al ruvido “sì sì, no no”, e se fa male tanto peggio: c’è sempre 
la possibilità di ritirarsi in privato, dove nessuno ha il diritto di 
venirti a importunare. Ma, fin quando ci si mostra in pubblico, bisogna 
fare il conto con il giudizio altrui, anche quando sorge dalla miseria 
morale e intellettuale di chi maneggia argomenti, anzi non-argomenti, 
come quelli che lei riporta.
Caro Davide, nella lettera con cui il 2 
giugno 2014 nasceva questa rubrica, un lettore mi chiese che cosa 
avrebbe detto Mario Palmaro se avesse visto quanto stava accadendo e 
risposi in questo modo:
“sono sempre riuscito a fuggire la 
tentazione di immaginare ciò che, a proposito del presente, avrebbe 
detto qualcuno che non è più tra noi. Da qualche decennio, mi pongono la
 stessa domanda nelle serate dedicate a Giovannino Guareschi. C’è sempre
 qualcuno che chiede che cosa Guareschi avrebbe detto a proposito del 
brutto andazzo che hanno preso i nostri tempi. In tutta franchezza, non 
lo so e mi astengo dall’attribuirgli pensieri apocrifi. Così come mi 
astengo dal farlo oggi con Mario a proposito dei casi che lei cita e di 
tanti altri, altrettanto drammatici. Finirei per dirle ciò che penso io e
 non sarebbe onesto”.
Continuo a comportarmi così, caro 
Davide, tanto che su Mario scrivo solo una volta l’anno, 
nell’anniversario della sua morte e solo per ricordare ciò che ha 
rappresentato e ancora rappresenta nella mia vita. Non mi spingo oltre 
perché giudico miserevole l’operazione di ipotecare ciò che 
avrebbe fatto o ciò che non avrebbe fatto una persona che non può più 
dire la sua.
Non mi sono mai chiesto che cosa avrei 
scritto se Mario Palmaro fosse ancora con noi. Non serve perché è mio 
costume dire quello che penso e pensare quello che dico, senza ricorrere
 a mediazioni o a dosaggi in percentuale variabile. Il mio sodalizio con
 Mario era, ed è ancora, fondato su una fraternità così profonda da 
essere incomunicabile. Non era certo il rapporto di lavoro tra due 
sensali usi a mercanteggiare sull’affare più conveniente. Non abbiamo 
mai avuto l’esigenza di incontrarci a metà strada e considero moralmente misero chiunque usi lo scudo di Mario per ripararsi dai miei argomenti di oggi.
 Misero moralmente e misero anche intellettualmente in quanto, non 
avendo idee, usa l’espediente gaglioffo di denigrare e delegittimare 
chi, invece, le idee le ha.
Ma ci sono abituato caro Davide. Sapesse
 quanti l’hanno fatto ai tempi in cui Mario e io cominciammo a criticare
 Bergoglio. Da “Questo Papa non ci piace” in poi, è stato un susseguirsi
 di nemici che ci davano dei pazzi e di finti amici i quali dicevano 
che, in fondo, ce l’eravamo andata a cercare. Ma nessuno è mai entrato 
in argomento. E se qualcuno, dopo averci lasciato fuori dalla trincea a 
prendere schioppettate nel petto e nella schiena, ha poi cercato di 
difenderci lo ha fatto perché temeva che gli rubassimo la scena: pazzi 
sì, ma martiri no. Mentre noi volevamo solo dire il nostro pensiero. A 
ciascuno il suo metro di giudizio.
Quanto al fantasma del sedevacantismo, 
anche questa è roba vecchia. Pensi che in certi vetusti palazzi per 
vincere la noia di giornate trascorse in attesa di una controrivoluzione
 che non arriva perché ci vogliono gli attributi per farla e se uno non 
li ha non se li può dare, si confezionano etichette con accuse di sedevacantismo personalizzate:
 a questo l’attitudine sedevacantista, a quello il sedevacantismo 
pratico, a quest’altro il sedevacantismo conclamato, a quell’altro 
ancora il sedevacantismo collaterale… Ce n’è per tutti, basta 
apostrofare Bergoglio con un’iperbole che manda in frantumi un po’ di 
vecchia cristalleria o qualche tazza di porcellana finissima. Come ti 
giri, ti trovi il cartellino appiccicato sulla schiena come il pesce 
d’aprile e quei mattacchioni che ti hanno giocato il tiro si divertono, 
si danno di gomito, ridono senza che si noti una sola piega sulle loro 
facce immote.
Sarebbe tutto da prendere come uno scherzo fanciullesco, se non fosse che questo nobile passatempo è il frutto avvelenato di un equivoco esiziale per la fede.
 In questi ambienti, dove si dorme chiudendo un occhio solo perché non 
si sa mai che la controrivoluzione scoppi proprio questa notte, non si 
vuole guardare in faccia alla realtà. Per questi crociati del secolo 
sbagliato, tutto rimane confinato allo schema elementare che contrappone
 “tradizione” e “antitradizione”, Messa in latino e Messa in vernacolo, 
“Missa Papae Marcelli” e “Alleluia di Taizé”, talare e clergyman.
Ma questi, caro Davide, sono tutti concetti che oggi vanno compresi alla luce della nuova contrapposizione svelata da Bergoglio: quella più radicale e più brutale tra un potere ecclesiale iniquo che si manifesta in un magistero blasfemo e la resistenza di chi continua a testimoniare i diritti di Dio in una Chiesa che se ne fa beffe.
Tanto più è brutale e iniquo, il potere non aspira che a essere proclamato padrone delle vite e dei destini altrui.
 Allora, e solo allora, il dominus può permettersi di essere 
misericordioso, così buono da concedere di sopravvivere persino ai 
cultori di una stramberia come la Messa in latino. I quali gli saranno 
così grati da rendergli omaggio in qualsiasi momento e da portare ai 
suoi piedi quanti più sudditi possibile. Perché più sudditi si portano, 
più potere si riceve in cambio.
In certi ambienti, il retaggio del bacio
 della pantofola è così formale e farisaico da non badare se dentro ci 
sia un piede d’angelo o una zampa di caprone. Interessa poco se dal 
soglio di Pietro venga proclamata la dottrina di salvezza o una loquela 
di perdizione. Ciò che conta è il riconoscimento del potere, dato e 
ricevuto, qualunque sia.
Nulla di nuovo sotto il sole satanico di questo mondo, caro Davide.
 Gesù, nel deserto, viene tentato dal demonio che gli chiede di essere 
riconosciuto come signore e adorato. Aleksandr Solgenitsin, in Arcipelago gulag,
 mostra come il perverso potere sovietico pretendeva di essere 
riconosciuto persino dai condannati che stava per mandare a morte. Più che del sangue delle vittime, il potere iniquo ha sete del loro consenso poiché sa che non potrebbe sopravvivere senza quel “sì” anche estorto con la violenza. Nel Signore degli Anelli,
 Sauron, il signore del male, si mostra assetato dello stesso alimento. 
Il suo messaggero, giunto al reame dei Nani in cerca dell’Anello del 
potere, parla abbassando la voce crudele che, “se avesse potuto l’avrebbe persino addolcita”, e dice: “Sauron
 chiede questo come piccolo pegno della vostra amicizia. (…) È un 
gingillo che piace a Sauron, e sarebbe un buon modo per dimostrargli la 
vostra buona volontà. (…) Trovate anche soltanto notizie del ladro, se 
vive ancora e dove, e sarete grandemente ricompensati dal Signore, e 
riceverete eterna riconoscenza. Rifiutate e le cose non si metteranno 
bene. Rifiutate?”.
Caro Davide, davanti a quel tremendo e sibilante “Rifiutate?” troppi cattolici che continuano a essere formalmente “tradizionali”, in realtà, non rifiutano.
 Siglano il patto con il potere iniquo al quale cercano di condurre 
quanti più sudditi possibile. In processione, con gli stendardi antichi e
 cantando in latino inni secolari, ma diretti verso le fauci del drago.
Penso che questi cattolici 
“tradizionali” abbiano poco da baloccarsi con le accuse di 
sedevacantismo pratico inventate per bollare chi la pensa diversamente 
da loro. Dovrebbero preoccuparsi di ben altra deriva, la loro, quella del modernismo pratico, che finisce sempre per diventare anche teorico.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
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